Abusi di Equitalia: pignoramenti e cartelle di pagamento

03.04.2016 21:40

Cartelle di pagamento: vizi di notifica, duplicazione dei pignoramenti, istanze di sospensione non accolte, prescrizione ignorata.

 

Equitalia è considerata dagli italiani come il lato cattivo del fisco: non uno strumento di persecuzione degli evasori fiscali – nei confronti dei quali nessuno ha simpatia – ma un metodo per estorcere il denaro ai “poveri contribuenti”. Devo ammettere che questa visione mi ha lasciato, a lungo, perplesso, ritenendola lo specchio di una visione limitata che addebita le colpe più all’esecutore che al mandante. Vedere in Equitalia il perno dei problemi del popolo, quando invece agisce in forza di poteri/doveri attribuitigli dalle leggi e di accertamenti effettuati da uomini di differenti amministrazioni può sembrare una contraddizione. Contraddizione che si aggiunge a un altro evidente paradosso: nessuno mette in dubbio che gli evasori debbano essere perseguiti, posto che, con la loro condotta, spalmano il loro debito su chi, invece, non può opporsi al prelievo fiscale (vedi i lavoratori dipendenti). Allora perché tutto questo accanimento principalmente contro Equitalia che, in questo, persegue (seppur indirettamente) proprio lo scopo di una maggiore equità nella distribuzione delle imposte?

 

Le ragioni, in verità, esistono e sono spesso fondate: se ne accorge chiunque abbia avuto esperienze professionali nel campo della riscossione esattoriale. Chi vi scrive, dopo anni passati ad analizzare cartelle di pagamento e pignoramenti di stipendi e pensioni, può tracciare una lunga casistica di situazioni estreme: una serie di illeceità, irregolarità e disfunzioni che, spesso, danno al cittadino l’idea di combattere contro mulini a vento.

 

Il caso più ricorrente è quello della prescrizione. Il calcolo della prescrizione è quanto di più semplice possa conoscere il diritto: si esaurisce sulle dita di una mano, raramente ce ne vogliono due. Eppure, chiunque abbia chiesto un estratto di ruolo e si sia accordo delle numerose pretese orami “scadute” per decorso dei termini ha anche constatato come sia quasi impossibile sbarazzarsene e ottenerne la cancellazione se non ricorrendo al giudice. Le istanze in autotutela per sgravi di debiti ormai prescritti non danno quasi mai esito positivo. L’amministrazione titolare del credito se ne lava le mani scaricando la patata bollente su Equitalia; quest’ultima, a sua volta, nelle poche ipotesi in cui risponde, rispedisce il contribuente all’ente impositore. Da questo tradizionale gioco dello scaricabarile – nel quale, bisogna ammetterlo, le nostre amministrazioni sono campionesse olimpioniche – il cittadino non riesce ad uscire se non pagando un avvocato e le imposte (guarda caso!) necessarie per l’accesso in tribunale.

 

All’indomani della legge sulle “cartelle pazze”, che consente al contribuente di presentare un’istanza di sospensione della cartella di pagamento palesemente viziata, gli addetti allo sportello, in alcuni casi, si sono rifiutati di prendere in consegna la richiesta del cittadino, cui è stato chiesto di spedirla per email (neanche quella certificata).

 

Che dire poi della duplicazione di pignoramenti? È paradossale – ma è avvenuto – che Equitalia abbia effettuato un pignoramento nei confronti di un contribuente per cartelle già attivate da un precedente pignoramento ancora in corso, così duplicando l’esecuzione forzata. In casi tanto palesi di illegalità, chiunque si aspetterebbe un “dietro front” a semplice segnalazione. Un disguido può capitare a chiunque. E invece la risposta dello “sportello amico” (che forse tanto “amico” non è) è stata “Fatecelo dire dal giudice!”.

 

Se poi il contribuente, contro il quale sia stato avviato un pignoramento, fa notare a Equitalia che nessuna cartella gli è stata mai consegnata prima di tale momento, chiedendo l’annullamento dell’esecuzione per difetto di notifica, l’unica risposta che ottiene è un laconico silenzio contro il quale, ancora una volta, l’unica difesa è il contenzioso giudiziale. Eppure, anche in questo caso, chi meglio di Equitalia sa se i documenti che attestano la consegna della raccomandata a.r. sono in regola o meno.

 

La legge prescrive che per pensioni e stipendi di importi inferiori a 2.500 euro il pignoramento può arrivare a non più di un decimo. Eppure esistono casi in cui il debitore abbia subìto la trattenuta di un quinto e abbia dovuto presentare un’opposizione al tribunale per vedere ripristinata la legalità.

 

Ciò che più stupisce di tutto ciò, dunque, è la mancanza di collaborazione con il cittadino per un fine comune che dovrebbe essere quello dell’efficienza e della legalità. È mai possibile che, per ogni sconfinamento di poteri da parte di Equitalia, si debba ricorrere al giudice, con ulteriori aggravi di spese e preoccupazioni per l’esecutato? È ammissibile, in un Paese che ha istituito il “Garante del contribuente”, che le contestazioni debbano sempre finire in tribunale?

 

Non solo. Anche le volte in cui si ricorre davanti al giudice, ci si aspetterebbe che, alla lettura del ricorso e delle prove presentate dal ricorrente, l’amministrazione finanziaria riconosca immediatamente i propri errori, evitando il prosieguo del giudizio. E, invece, la causa prosegue, a volte anche in appello e in Cassazione, supportata da tesi che la giurisprudenza ha ormai superato da anni. Un esempio è quello della validità dell’estratto di ruolo, che la Suprema Corte ritiene privo di efficacia probatoria, e che invece viene spesso depositato a dimostrazione di crediti inesistenti o mai notificati (estratto, a volte, autenticato dai dipendenti di Equitalia che non sono pubblici ufficiali). Una posizione di contraddittorio col contribuente, quella che a volte assume Equitalia, che tutto farebbe pensare tranne a una cooperazione.