L’ipoteca della banca prevale sull’assegnazione della casa coniugale
Un altro aiutino per le banche: l’iscrizione ipotecaria non può essere vanificata dalla trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale.
Una recente sentenza della Cassazione [1] stabilisce che, se sulla casa coniugale è stata iscritta ipoteca da parte della banca, quest’ultima iscrizione prevale sulla trascrizione del provvedimento di assegnazione in sede di separazione o divorzio [2].
Spieghiamoci meglio.
Il Codice Civile prevede che il provvedimento di assegnazione della casa al coniuge cui vengono affidati i figli è trascrivibile ed opponibile ai terzi [3].
Ciò significa che chi acquista un immobile che il giudice ha assegnato al coniuge separato o divorziato, acquista un immobile occupato. Cioè il terzo acquista la proprietà, ma non può entrare in possesso dell’immobile.
Quanto alla natura della situazione giuridica attribuita all’assegnatario, le soluzioni prospettate in dottrina sono molteplici, tuttavia sembra di poter affermare che trattasi di un diritto personale di godimento. Sembrava… perché adesso la Cassazione cambia orientamento.
In passato ci siamo occupati della situazione in cui il coniuge superstite, titolare per legge del diritto ad abitare la casa coniugale, abbia trascritto il suo diritto dopo la successione. Abbiamo potuto osservare come la Cassazione considera prevalente, in questo caso, il diritto di abitazione anche rispetto ad un eventuale pignoramento successivo.
Nel caso di cui occupiamo, e cioè di trascrizione di un diritto di godimento discendente dal provvedimento di assegnazione in sede di separazione o divorzio, sembra di poter affermare che si verta in una situazione identica, dal punto di vista dei principii giuridici.
La novità, rappresentata dalla recentissima sentenza della Cassazione, riguarda il caso di un’iscrizione ipotecaria della banca precedente alla trascrizione dell’assegnazione.
In questo caso, secondo la Cassazione ragioni di interpretazione letterale e sistematica inducono ad affermare che questi provvedimenti non hanno effetto riguardo al creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull’immobile in base ad un atto iscritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione; quest’ultimo, perciò, può far vendere coattivamente l’immobile come libero.
Con un’arzigogolata motivazione, la Corte arriva a escludere l’assegnazione della casa coniugale dal novero dei diritti reali di godimento: quei diritti, cioè, che attribuiscono un diritto su un immobile del tipo, per esempio, di una servitù o di una locazione. Stabilisce -in definitiva- che la trascrizione servirebbe solo a dirimere eventuali conflitti riguardanti i terzi diversi da quelli che “a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi”. Tra cui il creditore ipotecario; nella maggior parte dei casi una banca.
Il ragionamento lascia alquanto perplessi: sia per la novità della conclusione, che in linea di principio.
Ci si chiede: lo scopo dell’iscrizione di ipoteca è quello di attribuire al suo beneficiario una prelazione nella distribuzione delle somme che si ricavano dalla vendita giudiziaria. Tant’è che, per esempio, è possibile vendere la nuda proprietà di un immobile locato. Perché questo non dovrebbe poter avvenire in occasione di un immobile gravato dal diritto di godimento del coniuge assegnatario? Anche in questo caso dovrebbe potersi configurare la vendita della nuda proprietà con riserva a favore del creditore ipotecario di una prelazione nella distribuzione delle somme ricavate.
La cosa che a chi scrive appare alquanto logica, è però in conflitto con gli ultimi orientamenti legislativi e giurisprudenziali che tendono a facilitare oltre ogni limite l’espropriazione immobiliare.
Si potrà obiettare che una interpretazione diversa da quella fornita dalla Cassazione potrebbe aprire il campo ad operazioni in mala fede da parte di coniugi che, pur di impedire l’espropriazione, si accordano per assegnare la casa coniugale e trascrivono il provvedimento cercando così di ostacolare la vendita all’asta.
Si potrà rispondere che anche in questo caso, come sempre, è onere di chi afferma la mala fede di darne la prova, e che sarà il giudice, con il suo prudente apprezzamento, a risolvere la questione.
Le attuali posizioni della giurisprudenza potrebbero essere lette, però, sotto altre prospettive.
Si è rilevato più volte, in passato, che le procedure esecutive risultavano scarsamente efficaci pregiudicando il normale andamento dei rapporti economici.
L’economia risente molto negativamente della difficoltà per il creditore di recuperare in tempi celeri il suo credito: queste difficoltà sono state valutate come un forte disincentivo agli investimenti, specie di capitali esteri.
A ciò si aggiunge l’attuale situazione di crisi del sistema bancario: l’Unione Europea sollecita l’adozione di misure atte a scongelare l’enorme mole di sofferenze degli istituti di credito italiani. Un credito in sofferenza, infatti, rappresenta un ostacolo all’immissione di risorse finanziarie nel circuito economico da parte delle banche, obbligate a costituire riserve proporzionate ai debiti cosiddetti “incagliati”.
Ed ecco, dunque, la spiegazione dei recenti provvedimenti governativi sulla riforma del mercato creditizio. Da qui nasce la possibilità, per gli istituti di credito, di acquisire addirittura gli immobili, in seguito al mancato pagamento di un certo numero di rate. Di trasformarsi in società immobiliari.
Tale possibilità, si badi, non è concessa ai privati che, in definitiva, rimangono legati alle vecchie regole. Di fatto, solo le banche ne vengono favorite.
Ancora una volta, dunque, le famiglie, i canoni anche costituzionali che le salvaguardano e le tutelano, si trovano a soccombere a fronte delle necessità di sostegno al sistema bancario ed a quello economico in generale.
Non è un caso, a parere di chi scrive, che anche la giurisprudenza si adegui a queste esigenze di tipo economico.
Rimane solo l’auspicio che anche questi, come tanti altri sacrifici continuamente richiesti agli italiani, contribuiscano a risollevare una situazione economica di grande sofferenza della quale il prezzo più alto è stato pagato, finora, dalle fasce più deboli.
Non parrebbe fuor di luogo, nell’attuale situazione, l’auspicio che chi governa cominci a porre nella dovuta attenzione le vere responsabilità della crisi del sistema bancario: un sistema forte con i deboli e “gentile” con i potenti. Severo con i lavoratori e le famiglie e comprensivo con i finanzieri e gli speculatori.
Non ci si accusi di qualunquismo, per favore! Si rischierebbe di contraddire il buon senso ed una realtà sotto gli occhi di tutti.
[1] Cass. sent. n. 776/2016
[2] Cass. sent. n. 7776/2016
[3] Art. 337-sexies co. 1, cod. civ.